venerdì 2 novembre 2007

l' africa non è in vendita

Tra la fine degli anni '60 e l' inizio dei '70 le ex potenze coloniali, che avevano concesso l' indipendenza ai vari stati del terzo mondo, stipularono con quest' ultimi gli accordi di Yaoundè. Questi trattati tendevano a prolungare i rapporti commerciali privilegiati tra entrambe le parti, garantendo all’Europa l’approvvigionamento di alcune materie prime e l’accesso preferenziale al mercato europeo ad alcune materie prime coloniali.
Preferenze che però non hanno aiutato i paesi più poveri ad aumentare le loro esportazioni, a causa problemi sul
versante dell’offerta, (come, ad esempio, la bassa produttività, le carenza nelle infrastrutture etc.) nonché
delle molte altre barriere non commerciali che impediscono o rendono difficoltosa l’esportazione nei mercati
europei: dalle misure fito-sanitarie, agli standard di qualità previsti dalle normative europee e richiesti dalle
grandi reti di distribuzione, alle clausole anti-dumping, creando così un interscambio a senso unico rivolto a beneficio degli stati europei.
Negli ultimi mesi l’Europa sta negoziando con 77 sue ex colonie di Africa, Caraibi e Pacifico (ACP)
gli Accordi di Partenariato Economico (EPA o APE), ed è previsto che siano conclusi entro il 31 dicembre 2007.
L’obiettivo centrale delle nuove regole di cooperazione dovrebbe essere "la riduzione della povertà e, alla fine, il suo
sradicamento; lo sviluppo sostenibile e, progressivamente, l’integrazione dei Paesi ACP nell’economia
mondiale". Ma l’Unione Europea, invece che focalizzare la propria posizione sugli aspetti legati alla riduzione della
povertà, sta proponendo un accordo di libero scambio con i Paesi ACP che comprende prodotti agricoli,
industriali, servizi e investimenti. Le resistenze incontrate sono molte, in particolare per quei Paesi che
avrebbero molto da perdere da una liberalizzazione non attentamente governata.
Idea base degli APE è la convinzione che la priorità per l’Africa sia la sua integrazione nei mercati
globali, posizione su cui non c’é unanimità visto i fallimenti delle politiche di libero scambio nel portare un
accresciuto benessere in ogni contesto e per tutte le fasce della popolazione.
A meno di due mesi dalla data limite per la firma degli accordi Epas, le cose sembrano mettersi male per l'Unione europea. La linea intransigente del commissario al commercio Peter Mandelson non ha sortito i suoi effetti, solo qualche mese fa Mandelson minacciava la fine del regime di preferenze e di recente il taglio consistente degli aiuti per i programmi regionali di assistenza, qualora i due capitoli negoziali non fossero stati contemplati negli accordi Epas, mentre adesso l'Ue fa i conti con un dissenso tra i Paesi ACP, come per esempio quelli dell' Africa occidentale, i quali hanno annunciato che non firmeranno nessun accordo.
Pressioni affinché l'intransigenza europea diminuisca vengono anche dall'interno della stessa Unione, dove alcuni Paesi stanno spingendo per una soluzione Epa Light che sembra a questo punto configurarsi realmente. Solo qualche settimane fa, inoltre, in un rapporto redatto dalla divisone commercio e industria dell'Unione Africana (UA) con il supporto della Commissione delle Nazioni Unite per l'Africa, ammoniva i Paesi africani di non firmare accordi di libero scambio se il loro obiettivo è quello di colpire lo sviluppo del continente.
Diversi studi concordano nel metterli in guardia dal rischio degli EPA, giungendo alla medesima conclusione: le esportazioni delle imprese europee risulteranno le maggiori beneficiarie degli EPA. Si prevede invece una diminuzione del già scarso commercio intra-africano, la prematura chiusura di diversi settori industriali, la crisi di quello agricolo. Per i contadini senza più lavoro non ci sarà altra alternativa se non cercare fortuna altrove, ingrossando il flusso di profughi in cerca di approdo sulle coste europee, pronti ad iniziare la difficile sfida della sopravvivenza nelle nostre città e campagne. L'Africa dai suoi ex colonizzatori non ha bisogno di nuove regole capestro, ha diritto a perseguire autonomamente la propria strada verso il tipo di sviluppo che desidera. Ha bisogno dunque di fiducia, autonomia e rispetto e di certo non ha bisogno degli EPA!!!!
Le richieste dei paesi APC sono naturalmente mirate a migliorare la situazione all' interno del loro territorio e si possono riassumere in quattro punti:
- Dare priorità all’integrazione regionale: lo sviluppo di mercati regionali offre prospettive più promettenti
per la lotta alla povertà e per lo sviluppo economico rispetto ad un’ ipotetica crescita dei mercati
internazionali;
- Definire un regime commerciale basato sull’asimmetria e sull’equità: questo è l’unico modo per ridurre il
divario esistente tra l’Europa e i Paesi di Africa, Caraibi e Pacifico e per attribuire un contenuto reale al
principio del trattamento speciale e differenziato;
- Migliorare la partecipazione delle organizzazioni contadine e degli altri attori nella preparazione e nella
negoziazione degli EPA dando così una garanzia rispetto alla pertinenza delle scelte operate nelle negoziazioni ed una
precondizione per la loro concreta applicazione;
- Darsi il tempo e gli strumenti necessari per la loro preparazione: è necessario implementare le politiche
regionali, condurre valutazioni più approfondite degli impatti dei differenti regimi commerciali, rafforzare
la capacità di ciascuna regione (decisori, e attori della società civile) di definire e difendere una posizione
negoziale in conformità con le sfide e gli interessi di ogni regione.
Per questi motivi negli ultimi mesi sono nati movimenti sostenuti da varie organizzazioni non governative per ricordare al mondo intero che: " l' Africa non é in vendita " come recita lo slogan della campagna italiana.
ADERISCI ALLA CAMPAGNA L'AFRICA NON E' IN VENDITA!: http://db.altranet.org/campagne/info.php?id=5

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